IN PUNTA DI MATITA & DI PENNELLO

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Monica Sori

Scrivere o dipingere? Sono “nata” giornalista e non posso fare a meno di comunicare anche con la parola.
In questo blog voglio portarvi nel mio mondo, fatto di arte, racconto ed esplorazione.

Astratto o figurativo?

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Da quando ho cominciato a dipingere, circa vent’anni fa, il percorso è stato quello “classico”. Ho cominciato con l’acquarello poi con l’olio: copia dal vero, nature morte, paesaggi anche in esterno, anzi “en plein air”. L’obiettivo era cercare di realizzare qualcosa di bello e possibilmente il più possibile aderente alla realtà. E adesso?

Recentemente sono stata alla casa al mare, dopo tanto tempo che non ci andavo, e lì ho rivisto i miei primi lavori, i migliori, o comunque quelli che ho deciso di conservare e di esporre. Molti altri, invece, sono “in soffitta”, di alcuni ho persino riutilizzato le tele dipingendoci sopra. Rivedere questi quadri mi ha fatto riflettere. Ovviamente, in famiglia, le mie opere figurative sono tutt’ora le preferite. La mia deriva astratta, o presunta tale (vedere i miei lavori sul paesaggio), non è molto gradita. Spesso, poi mi accorgo che anche amici e conoscenti quando vedono un mio quadro di cui non riconoscono bene i contorni di piante, case, montagne… arricciano il naso. Ma come? Ho impiegato un paio di decenni per evolvere il mio stile, per non raffigurare semplicemente la realtà, ma per rappresentare semmai le mie emozioni in un contesto reale. Sì, oggi dipingo così, o almeno è quello che tento di fare.

Scorcio di Granada, olio su tela, 2003.
Scorcio di Spello, olio su tela, 2005.

Dipingere ciò che si vede

Eppure, quando incontro persone che non conosco, appena dico che dipingo mi chiedono un ritratto (loro, della famiglia, del cane…), e quando spiego che se lo facessi non sarebbe l’equivalente di una fotografia, non sono interessate. E, di nuovo, mi chiedo: ma come? Adesso ci sono persino i selfie, se vuoi un ritratto perfettamente somigliante te lo puoi fare persino da sola! Paesaggi o ritratti il discorso non cambia e la diatriba è sempre la stessa: figurativo o astratto (vedi anche il mio modo di approcciare la figura di In sogno o di Refused)? Vorrei citare il pensiero di William Congdon (1912-1998), un pittore di origini statunitensi che ha vissuto a lungo in Italia sulla differenza tra arte e pittura. “… uno dipinge ciò che vede. L’arte è un’altra cosa, si tratta di un’immagine che coinvolge me, che dipinge me, che io posso solo lasciare accadere…”

Come apprezzare Pollock & Co.

Come dicevo, si tratta di una diatriba che va avanti da almeno un secolo. Io non sono né una storica dell’arte né una critica, per cui il mio è un semplice punto di vista. E spero che questo scritto aiuti chi davanti a una tela di Rothko dice: “potevo farlo anch’io” e se ne va un po’ schifato. Secondo me la risposta alla domanda del titolo sta nell’atteggiamento. In un dipinto di Michelangelo o, più recentemente, di Renoir è naturale identificare ciò che si vede: un volto, un paesaggio, un albero. In un quadro di Jackson Pollock del suo periodo dripping cercare di attivare il riconoscimento è negativo e non permette di apprezzare la poesia di colori e materiali che si incontrano e si scontrano in queste enormi tele dove mi ci vorrei tuffare. E non pensiate che sia facile!

Tonnara di Scopello, olio su tela, 2006.

Uno sguardo al passato

Io sono in una fase oscillatoria e forse ci resterò per sempre. Insomma, mi piace avere un aggancio alla realtà e lo si può vedere in tutte le mie opere. L’astrazione pura l’ammiro negli altri artisti, quelli molto bravi, io forse non intraprenderò mai quella strada, anche perché il rischio è di cadere nella pittura ”decorativa”. Detto questo, amo anche Michelangelo (ovviamente!) e, adesso che li rivedo dopo tanto tempo, apprezzo pure i miei “vecchi” dipinti e, dandomi una pacca sulla spalla, mi dico indulgente: “dai, non eri poi così male!”